La riabilitazione dell’anziano, tra complessità e risultati

L’aumento della popolazione anziana è oggi ormai un trend costante. Un fenomeno sociale e demografico che incide inevitabilmente sul fronte dell’assistenza sanitaria. In modo particolare, il numero sempre crescente di anziani che necessitano di interventi di recupero motorio e cognitivo sta comportando un innalzamento del livello di complessità della presa in carico in ambito riabilitativo. «La riabilitazione è sempre più complessa in generale, ma anche più efficace grazie allo sviluppo scientifico e alle nuove tecnologie che consentono oggi di fare cose un tempo inimmaginabili – spiega Alessandro Giustini, responsabile scientifico dell’Ospedale San Pancrazio di Arco di Trento, Gruppo Santo Stefano Riabilitazione –. Se è vero quindi da un lato che l’aumento di pazienti anziani in ambito riabilitativo è un fattore che incide sulla complessità della presa in cura, è vero anche, allo stesso tempo, che se scendono in campo le competenze e le professionalità di team qualificati si riescono ad ottenere grandi risultati sia per le disabilità motorie sia per quelle cognitive».
Quali fattori incidono sugli interventi e quali modalità occorre adottare tenendo conto degli aspetti di fragilità fisica, psicologica e sociale che entrano in gioco?
«Fragilità fisica, psicologica e relazionale rappresentano insieme un elemento imprescindibile nei pazienti con un’età avanzata. Ma l’età avanzata non è un fattore da considerare negativo. Ciò che cambia è l’intensità  e la necessità di durata del trattamento riabilitativo che deve essere appropriata».
Come cambia il team riabilitativo?
«Più che in termini di figure professionali, il team cambia in termini di competenze. Il fisioterapista deve essere consapevole sul piano professionale, sulla base delle evidenze scientifiche, come si prende in carico un paziente anziano. Tutto il programma riabilitativo deve essere rapportato alla sua condizione clinica, di forza, di salute cardio respiratoria, di comorbilità. Una persona di 80 anni post ictus o post frattura non può avere un trattamento uguale ad un venticinquenne con le stesse patologie. Non solo per le condizioni fisiche, ma anche per quelle motivazionali e di aspettativa di vita».
Servono quindi figure sempre più specializzate?
«Serve una formazione continua e qualificata per tutte le figure base già esistenti nel team. Il fisiatra rimane il medico di riferimento, ma con competenze specifiche. La trasformazione delle funzioni neurocognitive, l’ipovisione, la fragilità fisica e psicologica, sono tutti aspetti gerontologici che vanno inseriti nel training riabilitativo. Hanno un ruolo fondamentale  anche i terapisti occupazionali, gli psicologi, gli infermieri. Figure già esistenti ma che devono operare in modo tale da rendere il percorso riabilitativo il più possibile stimolante per raggiungere gli obiettivi terapeutici». 
Quali sono gli obiettivi riabilitativi?
«Gli obiettivi riabilitativi nell’anziano non sono mai solo legati al puro recupero motorio e funzionale. Occorre anche creare setting motivazionali per lavorare sul versante psicologico. L’obiettivo di vita autonoma da costruire in un giovane di 25 anni è più immediato, per la  medesima patologia il piano riabilitativo ha obiettivi diversi pur avendo protocolli apparentemente identici. La riabilitazione deve puntare al recupero della migliore qualità di vita possibile. Da qui la complessità, la riabilitazione personalizzata è quella che fa la differenza perché si pone obiettivi mirati e realistici. Ecco perché sono importanti anche le iniziative di socializzazione. C’è una storia dietro ogni persona, tanto più questo vale per l’anziano e occorre ripartire da questo suo vissuto per ricostruire un progetto di vita unico e personale».
Nei casi di Alzheimer?
«Nei casi di Alzheimer, in generale dei disturbi cognitivi legati alla demenza, è importante un piano di assistenza qualificato. Questo vale sia  quando il paziente è in trattamento per il deficit  cognitivo-intellettivo sia quando è invece in trattamento per diversi problemi riabilitativi ma  questo deficit si manifesta complicando il trattamento. La competenza  dei diversi operatori deve  esser in grado di adattare  tutto il Piano di cure  con appropriate metodologie, attività e procedure. L’infermiere  ad  esempio deve sapere come trattare  durante  tutta la  giornata un paziente con demenza, come rapportarsi, cosa può fare, cosa deve evitare che faccia. Funzioni biologiche, alimentazione, mobilità in sicurezza, un ambiente di reparto protetto ma che garantisca anche stimoli socializzanti, libertà e qualità di vita, sono tutti aspetti che non devono essere trascurati e che devono anzi essere al centro di un programma riabilitativo strutturato e consapevole della gestione della complessità». 

Intervista a cura di Rosaria Frisina, redazione News 

                                 

 

 

 

 

 


2018-04-06