A cosa serve la stimolazione cerebrale profonda?

La stimolazione cerebrale profonda (DBS) è una tecnica chirurgica, introdotta dalla fine degli anni '80, in grado di attenuare i sintomi della malattia di Parkinson e le complicanze indotte dalla terapia farmacologica. L'efficacia della stimolazione cerebrale profonda è stata recentemente confermata da studi controllati e randomizzati, eseguiti secondo i principi della medicina basata sull'evidenza.
«I pazienti che vengono sottoposti alla stimolazione cerebrale profonda sono soggetti che hanno una risposta incostante alla terapia, presentano movimenti involontari anomali, le cosiddette discinesie, effetti secondari alla terapia farmacologica e complicanze a lungo termine della levadopa» spiega la dottoressa Manuela Pilleri responsabile dell’ Unità Funzionale di Neurologia di Villa Margherita Santo Stefano Riabilitazione che ha sede ad Arcugnano (Vicenza). Un centro ad alta specializzazione nella diagnosi e cura delle malattie neurologiche, con particolare interesse nei disturbi del movimento, come la malattia di Parkinson, i parkinsonismi atipici secondari la distonia e la corea, e nel deterioramento cognitivo.
Di che cosa si tratta?
«La DBS è in grado di modulare l'attività dei circuiti cerebrali implicati nella malattia di Parkinson, grazie a dei microelettrodi impiantati chirurgicamente in strutture profonde del cervello collegati ad un  generatore di stimoli elettrici (neurostimolatore). In fase post operatoria la stimolazione viene  impostata secondo le esigenze del singolo paziente . Successivamente il sistema permane  attivo h24, non richiede nessuna particolare gestione a domicilio, si eseguono controlli neurologici ogni 4-6 mesi».
Quali sono i vantaggi?
«Con la terapia farmacologica antiparkinsoniana si ottiene un notevole miglioramento dei sintomi motori. Purtroppo dopo alcuni anni dall'inizio del trattamento, la terapia non è più in grado di garantire un controllo costante della malattia: si verifica l'insorgenza di fluttuazioni motorie, per cui il paziente alterna momenti di benessere con momenti di rallentamento motorio. Spesso nelle fasi di benessere insorgono movimenti involontari del tronco e degli arti, fonte di imbarazzo sociale e di ulteriore impaccio nel movimento. Con la stimolazione si riesce ad ottenere un effetto simile a quello raggiungibile con la terapia farmacologica, che permane stabile nell'arco della giornata e anche durante la notte, senza le fluttuazioni motorie e i movimenti involontari indotti dalla terapia farmacologica. Un tempo si tendeva a ricorrere a questa tecnica nelle fasi avanzate di malattia, oggi già dopo sette anni si può procedere all’applicazione precoce. L’obiettivo è la conquista di una migliore qualità di vita. Prima si interviene, prima si ha margine per ottimizzare questo risultato. Infatti, l’evoluzione della malattia corre parallelamente alla compromissione della vita sociale. Intervenire in fase precoce significa offrire più opportunità al paziente di sfruttare il beneficio della riduzione dei sintomi della malattia permettendogli di riannodare, nel modo migliore possibile, la propria vita e le relazioni famigliari e sociali».
Come si valuta l’indicazione all’intervento?
«Abbiamo un protocollo che prevede diversi passaggi, preoperatori e di follow up. Innanzitutto, c’è una selezione dei pazienti che possono beneficiare della terapia. Vengono eseguite valutazioni cliniche sullo stato motorio e un'approfondita valutazione neuropsicologica. Una risonanza magnetica è fondamentale per escludere potenziali controindicazioni all'intervento». 
Per quali pazienti va esclusa la Stimolazione cerebrale profonda?
«Bisogna esaminare attentamente le condizioni del paziente per valutare l’appropriatezza dell’intervento e ridurre al minimo la possibilità di complicanze. Consideriamo: un limite di età di 70 anni: l’ età è importante perché il rischio di complicanze intraoperatorie è maggiore nei pazienti più anziani; lo stato di salute generale del paziente; non devono esserci una demenza associata, la presenza di disturbi del cammino e dell’equilibrio molto gravi».
Un bilancio dei casi trattati?
«Il bilancio è positivo, tanto che  il numero di pazienti sottoposti all’intervento ogni anno è in progressivo aumento. Se pensiamo ai benefici dal punto di vista funzionale i dati ci restituiscono risultati molto interessanti sotto il profilo clinico: si migliora del 60/80%. L’incidenza di complicanze è relativamente bassa.  Tra i possibili effetti secondari il più grave è l'emorragia cerebrale, che si verifica molto raramente in circa il 4% dei pazienti operati. Più raramente possono verificarsi infezioni del dispositivo o malfunzionamento del sistema».
Quanto incide il fattore età?
«Il Parkinson è una malattia che solitamente si manifesta tra i 50 e 60 anni, ma può avere un esordio anche sotto i 40 anni. Il nostro paziente più giovane è stato operato a 42  anni.  Proprio i soggetti che iniziano ad avere i primi sintomi in età giovane sono quelli che possono maggiormente usufruire dei vantaggi della DBS».

La Casa di Cura Villa Margherita, grazie ad una collaborazione con il servizio di Neurochirurgia dell'ospedale di Vicenza è stato uno dei primi centri italiani ad attivare un programma di stimolazione cerebrale profonda. Oltre un' equipe di tre Neurologi esperti nel campo specifico della DBS, il centro dispone di un team multidisciplinare costituito da neuropsicologi ed infermieri specializzati con notevole esperienza specifica. Questo garantisce al paziente un'assistenza di elevata qualità nelle fasi pre e post-operatorie. Inoltre, nei casi in cui si renda necessario, i pazienti possono accedere a un protocollo di riabilitazione intensiva per consolidare e ottimizzare il risultato del trattamento presso il Servizio di Medicina Riabilitativa di Villa Margherita.

Intervista a cura di Rosaria Frisina, Redazione News


2018-04-20